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Ariel - La Storia
All’origine della Ariel, una delle più antiche Case Inglesi, troviamo un brevetto, la ruota con i raggi in tensione, che fu determinante per l’evoluzione della moto, dai successi della “Square Four” alla crisi degli anni Sessanta. Nella realizzazione di un motore motociclistico a quattro cilindri i progettisti hanno dovuto sempre incontrare notevoli difficoltà. Naturalmente i problemi erano ancora più ardui nel passato, anche se questo tipo di motore era molto diffuso (più di quanto non lo sia oggi) in America. Si trattava però del quattro cilindri in linea, posto in senso longitudinale al telaio, e richiedeva quindi, tra l’altro, una notevole distanza tra le due ruote. Occorreva quindi una soluzione diversa , un motore di minore ingombro, in modo da ottenere una moto più compatta. Alla fine degli anni Venti un giovane ingegnere londinese, Edward Turner, ebbe un’idea brillante: pensò di sistemare i cilindri due a due in un quadrato.
Turner non era del tutto uno sconosciuto e , nella sua piccola officina situata nel retro della sua abitazione, a Dulwich, stava già costruendo una 350 monocilindrica con albero a camme in testa. Con il progetto del suo “Square Four” (letteralmente “quadrato quattro” ), Turner andò a tentare la fortuna nel mondo dell’industria motociclistica. Fu respinto da una fabbrica dopo l’altra ma, finalmente, trovò un uomo disposto a correre il rischio. Si trattava di John Sangster, dirigente della Ariel, che chiede a Turner un assistente e un ufficio dove poter lavorare ai dettagli del progetto. L’assistente era un giovane di nome Herbert Hopwood che, col tempo, sarebbe diventato egli stesso un valido progettista di motociclette. La macchina che uscì dalla “clausura” dell’ufficio di Turner era rivoluzionario. Di 500 cc. con albero a camme in testa comandato a catena, era una doppia bicilindrica con gli alberi motore accoppiati da ingranaggi. Il movimento al cambio era trasmesso dall’estremità sinistra dell’albero motore posteriore.
Il prototipo era talmente leggero da poter essere adattato per la sperimentazione nel telaio del monocilindrico standard della Ariel da 250 cc. Poteva inoltre essere messo in moto semplicemente sedendosi in sella spingendo con i piedi. Tuttavia, prima che la moto facesse il suo debutto in pubblico al Salone dell’Olympia di Londra nel 1930, i costruttori pensarono di adottare un telaio un po’ più solido: nacque così la fortunata “Square Four” che crebbe, in trent’anni di produzione fino a 1000 cc. La Casa motociclistica che aveva dato fiducia a Turner , la Ariel, esisteva fin dai tempi dell’invenzione della ruota ! Non più solo una battuta : in realtà le origini di questa gloriosa industria risalgono al 1870, quando due tecnici di valore, James Starley e William Hillman, brevettarono la ruota a raggi (cioè con i raggi sottili e in tensione) che permise la costruzione di biciclette più leggere.
A queste fu dato il nome Ariel (lo spirito dell’aria della commedia di Shakespeare “La Tempesta”) per sottolineare la caratteristica principale: la leggerezza. Nel 1890 James Starley fuse la propria azienda con la Westwood Manifacturing Company di Birmingham e, con un notevole capitale, al nuova società Starley & Westwood (che produceva tra l’altro cerchioni e copertoni) divenne uno dei punti di riferimento dell’impero della Components LTD. Questa, con il tempo, sarebbe cresciuta fino a diventare un enorme complesso produttivo a Selly Oaks, un sobborgo a sud di Birmingham. La prima sortita della Ariel nel campo motociclistico avvenne nel 1898 con la costruzione di un certo numero di quadricicli, con motore montato dietro l’assale posteriore. A distanza di un anno vi fu un’evoluzione che portò alla creazione di un triciclo col motore davanti all’assale posteriore, ottenendo una migliore tenuta di strada. Verso il 1902 i primi motocicli dell' Ariel in quanto tali, fecero la loro apparizione. Potenziati da motori Kerry erano di concezione leggermente più avanzata rispetto alla produzione della concorrenza, e non fu una gran sorpresa quando al Ariel fu prescelta dall’Auto Cycle Club per partecipare alle prove preliminari per la selezione della squadra rappresentante dell’Inghilterra alle gare per la Coppa Internazionale nel 1905. Il pilota era J.S. Campbell e la Ariel (un modello di 6 cavalli) si aggiudicò la migliore prestazione delle prove, con una media superiore a 66 km/h. Nel frattempo il controllo della Ariel era passato nelle mani di Charles Sangster, e fu lui a progettare e brevettare una due tempi leggera (destinata a farsi conoscere come Arielette), con caratteristiche avanzate quali un cambio a tre velocità con frizione e avviamento a pedale. Sfortunatamente , tuttavia, il verificarsi dello scoppio della prima guerra mondiale impedì all’attesa Arielette di venire alla luce. Per una decina d’anni, gli interessi di Charles Sangster furono rivolti alla produzione automobilistica, fino a quando Jack Sangster, figlio di Charles, intervenne a dare una mano. Aveva progettato un motore d’auto a due cilindri orizzontali contrapposti con raffreddamento ad aria, il disegno e la costruzioni del quale erano stati affidati alla Rover. A questo punto, per la Ariel, realizzò una vetturetta che fu chiamata Ariel Nine (Ariel Nove). In più, ebbe la lungimiranza di portar via dalla JAP un progettista di moto dotato di grande talento : Valentine Page, i cui lavori precedenti comprendevano un motore con albero a camme in testa con il quale Bert Le Vack aveva infranto una serie di record a Brooklands. Val Page si mise subito al lavoro. Ne risultarono un paio di modelli completamente nuovi (una 500 a valvole in testa e una 557 a valvole laterali che, esposta al pubblico per la prima volta al Salone dell’Olympia del 1926 , incontrò un enorme successo e che, con qualche modifica apportata di anno in anno , continuò ad esistere fino agli anni Cinquanta). Non vi era nulla di anticonformista nel disegno dei modelli, nonostante fossero sicuramente solidi: quello che tuttavia colpì l’immaginazione del pubblico era la linea, con una nuova posizione di guida più bassa, un interasse più corto e un ingegnoso serbatoio di carburante del tipo a sella. Questo serbatoio non era nuovo in quanto tale (era stato impiegato da Quadrant, Dott. Alldays ed altri fin dal 1919) , ma lo era la sua forma, e la Ariel si trovò a vendere così tanto che, nel giro di due anni, tutti gli altri costruttori di moto del Paese erano passati a serbatoi che avessero più o meno lo stesso aspetto di quello della Ariel. La Ariel di per sé non diede mai alcun contributo a manifestazione sportive di nessun genere, per quanto di tanto in tanto proprietari privati salissero agli ordini della cronaca. Verso la fine degli anni venti, fu aggiunta alla scuderia della Ariel l’agile piccola Colt 250, e il motore da 500 cc a valvole intesta di Val Page fu sviluppato nel Red Hunter (Cacciatore Rosso) , un nome che troviamo per la priva volta in catalogo nel 1932. Intanto Val Page lavorava a un gruppo di modelli a motore inclinato – talmente inclinato da sembrare quasi un monocilindrico orizzontale – tra i quali ce n’era uno a otto valvole in testa. Per completare il quadro, vale la pena di rammentare un altro nome nella storia della Ariel. Si tratta di Harry Perrey, che era non solo uno dei più noti piloti di trial dell’Inghilterra, ma anche un venditore dotato di notevole talento nel campo della pubblicità. Si era unita al gruppo provenendo dalla BSA, dove i suoi exploit avevano incluso la grossa pensata (e naturalmente la propria partecipazione) di un assalto in massa effettuato da motociclette allo Snowdown, la più alta montagna del Galles. Il più grosso colpo pubblicitario di Perrey per la Ariel fu l’attraversamento della manica con una moto da 500cc. montata su galleggianti. La moto era piuttosto normale, con l’eccezione di una corona addizionale aggiunta al mozzo posteriore e con una catena che scendeva fino al cambio dal quale sporgeva l’albero dell’elica; per lasciare spazio sufficiente a questa seconda catena era stata inserita una ruota posteriore più stretta del normale. Per dare all’elica sufficiente presa sull’acqua, Harry Perrey prese in sella un altro passeggero (Ted Thacker, altro noto collaudatore) . Il Flotor Cycle della Ariel fece la doppia traversata senza incidenti, fu mandato in esposizione nel mondo intero, ma dopo la guerra non se ne seppe più nulla. Con l’arrivo della Square Four nel 1931, l’habitué di Brooklands, Somerville Sikes concepì una versione più potente , con un compressore a palette (comandato a catena) interposto tra il carburatore e il motore. Si pretendeva che la potenza fosse quaranta cavalli al freno, la Square Four originale aveva il difetto intrinseco di uno spazio insufficiente tra le testa del cilindro e la parte sottostante del castelletto e, con uno scarso flusso di aria in testa, la distorsione costituiva un problema. Sikes partecipò con questa macchina alla Senior Tourist Trophy del 1931 , ma il modello non era ancora perfettamente a punto e fu costretto a ritirarsi, essendo saltato il giunto di una testa di cilindro. Le stesse noie capitarono a Ben Bickell, con la Square Four sovralimentata che aveva costruito nel 1933 avendo a mente come obiettivo la Motor Cycle Cup, trofeo spettante alla prima moto che riuscisse a raggiungere le 100 miglia orarie sul suolo inglese (il che, con la scarsità di adeguati terreni disponibili, voleva dire Brooklands). Ben Bickell scelse una versione da 600 cc della Square Four, riducendone l’alesaggio per far rientrare il motore nella categoria delle 500 – la Ariel, infatti, non comprendeva più nella sua gamma motori da 500 cc – e aggiunse un compressore Powerplus. La macchina di Bickell, abbastanza veloce da poter conquistare la coppa, riuscì , infatti, a volare per Brooklands a oltre 100 miglia all’ora (un giro venne cronometrato alla velocità di 179,023 km orari ) ma, ripetutamente, le guarnizioni saltate dalla teste dei cilindri bocciarono il tentativo di record. Bickell riuscì , per ironia della sorte far girare la sua Ariel alla media di 100 miglia orarie proprio il giorno in cui la coppa veniva conquistata da una bicilindrica a V della New Imperial. Perry pensò allora ad un programma di largo respiro dove sette modelli diversi venissero selezionati dalla gamma della produzione e sottoposti a sette diverse prove avendo sempre come tema dominante il numero sette. Fu questo il famoso seven seven test, in cui la parte più ambiziosa includeva il tentativo di percorrere con la Square Four 500, 700 miglia in 700 minuti. Il primo tentativo non ebbe successo, ma alla seconda prova le 700 miglia furono coperte in 668 minuti, ad una media di 100,712 km all’ora. Successivamente, per la prova di avviamento, la Ariel scelse sette scolaretti, per dimostrare la facilità dell’operazione, chiese loro di metterle in moto sette volte ciascuno. Sei dei ragazzi ci riuscirono senza problemi, il settimo, nonché il più piccolo , non ne fu capace. Per quanto alla dimostrazione “seven” servisse a portare a Selly Oaks l’ambito Mandes Trophy, la fabbrica si stava incamminando verso il disastro, mentre le ondate della crisi internazionale dilagavano per l’Inghilterra. Le porte della fabbrica chiusero nel 1932. A questo punto, Jack Sangster investì una fortuna personale e, concentrando la produzione della Ariel in una sola ala del grande complesso, procedette alla vendita del resto per ricavarne del capitale. Con la nuova denominazione di Ariel Motors (JS) Ltd (le iniziali “JS” erano un riconoscimento del coinvolgimento personale di Sangster), la società ricominciò a produrre, con una forza lavoro ridimensionata e un più limitato programma di modelli da costruire. Tra quelli che se ne andarono vi furono Val Page ed Harry Perrey. Entrambi trovarono lavoro alla Triumph, dalla quale Page passò poi alla BSA, per tornare infine alla Ariel. Edward Turner aveva un debole per l’estetica della linea e diede una mano alla Ariel nel suo cammino verso la ripresa contribuendo ad abbellire da un punto di vista estetico i modelli monocilindrici di Page. Con un serbatoio splendidamente contornato, decorato con lucidatura al cromo, un quadro comandi di altra classe e un colore rosso brillante, li tramutò nella serie Red Hunter. La Square Four , nel frattempo, stava subendo un trattamento che la modificava dalla testa ai piedi. Non aveva più l’altero a camme in testa, e la nuova versione, lanciata nel 1937, prendeva valvole comandate da aste e bilancieri. L’albero motore componibile era stato sostituito da alberi tutti d’un pezzo, appaiati da ingranaggi sul lato sinistro anziché al centro. Erano disponibili due diversi motori, da 600 e da 100 cc, e il secondo aveva una potenza di 38 cavalli al freno da 5000 giri al minuto. “Dai 16 ai 160 km in quarta” era lo slogan di vendita, ed era proprio così. L’assistente progettista Frank Anstey aggiunse, nel 1939, un insolito sistema di molleggio nella parte posteriore che, per quanto fosse fondamentalmente del tipo ammortizzatori telescopici, incorporava delle biellette oscillanti in modo che l’asse della ruota posteriore si muovesse lungo un arco, mantenendo costante la estensione della catena. L’ammortizzatore telescopico con biscottini oscillanti era disponibile tanto per le Red Hunter quanto per le Square Four. Funzionava pure molto bene , accetto che con l’andar del tempo l’usura si sviluppava nei perni di collegamento. Gran parte della produzione bellica della Ariel fu indirizzata a progetti militari che niente avevano a che fare con le motociclette; tuttavia fu realizzato un mezzo destinato all’esercito, il 350 Modello W/NG. Si basava sulla Red Hunter del 1939, per quanto il telaio avesse aumentato l’altezza minima dal suolo. Comprensibilmente, il monocilindrico da 350 cc (rifinito nuovamente rosso e cromo ) fu il primo a venire rilanciato dalla Ariel con il ritorno della pace, ma ben presto anche la Square Four 100 rientrò in produzione mentre fu sospesa la versione da 650 cc al fine di riguadagnare al più presto la massima capacità produttiva. Val Page controllava nuovamente gli uffici progettazione della Ariel, e ben presto sfornò una bicilindrica verticale di 500 cc, consentendo alla Ariel di reclamizzare il fatto di essere “i soli al mondo ad avere una gamma completa di mono, bi e quadricilindrici”. Dietro le quinte il controllo finanziario era passato nelle mani del Gruppo BSA , ma non vi era ancor alcun segno visibile di questo fatto. Sotto l’amministrazione generale dell’ex pilota di Tourist Trophy Ken Whistance, il gruppo di Selly Oaks si incamminò verso la gloria. Vennero adottate a questo punto forcelle anteriori telescopiche idrauliche, e il motore della Square Four fu sottoposto a una dieta che portò l’eliminazione di quasi 15 kg con la sostituzione di testa e cilindro in lega leggera. Nel 1954 fu nuovamente sottoposto a delle modifiche e ne uscì fuori il famoso “quattro tubi” Mark II, con due tubi di scarico separati da ciascun lato, che spuntavano fuori da manicotti meravigliosamente rifiniti e verniciati. Il rapporto di compressione era stato elevato a 7,2 a 1 (principalmente a causa del fatto che adesso era disponibile carburante di qualità migliore) e la potenza era stata portata a 42 cavalli al freno a 5800 giri al minuto, Il Mark II rappresentò l’ultima fioritura della Square Four perché, per quanto alla Red Hunter e alle 500 e 650 a motore bicilindrico verticale venisse dato con l’andar del tempo l’elegante molleggio posteriore con forcellone oscillante, la Four mantenne fino alla fine la sospensione ad ammortizzatore e bielletta. E la fine giunge nel 1958. Per quanto fosse un’ottima macchina, la Square Four a quel punto aveva urgente bisogno di qualche nuovo modello per non rimanere tagliata fuori dai mercati mondiali, e il costo di questa ristrutturazione sarebbe stato troppo alto se rapportato alle previste vendite future. La Casa puntò tutto su una bicilindrica a due tempi completamene nuova progettata da Val Page. Questo aveva una concezione rivoluzionaria del telaio, nel quale il blocco motore era sospeso al di sotto di una scatola di acciaio stampato che si estendeva dalla testa della forcella agli attacchi della sospensione posteriore. Il serbatoio del carburante, di concezione estremamente semplice, era collocato all’interno dell’apertura della travatura del telaio, ed era accessibile sollevando il sedile lateralmente. Un finto “serbatoio” ricopriva la parte anteriore della travatura del telaio e offriva, grazie a un coperchio a chiusura ermetica nella facciata superiore, un sufficiente spazio portaoggetti. Altre caratteristiche comprendevano la totale protezione del motore per mezzo di pannelli asportabili ai due lati, e una forcella anteriore a biscottini inferiori le cui parti inferiori erano composte da due pezzi saldati e poi uniti assieme. Lampeggiatori di direzione, una luce d’arresto, un orologio con otto giorni di carica ed un paraurti posteriore erano tra gli accessori disponibili a richiesta. Questa era dunque la Ariel 250 modello Leader, una moto molto avanzata rispetto ai prodotti dell’epoca. Per la sua produzione, la Ariel fece grossi investimenti ma il pubblico, per quanto si dimostrasse entusiasta, era tuttavia riluttante a procedere all’acquisto e lo staff della Ariel, sempre con la soluzione pronta, sistemò in un modello più semplice dei pannelli stampati laterali e produsse la Arrow (Freccia), e questa volta colpì il pubblico anche nel portafoglio. Vi era anche un modello per le gare , gradevolmente rifinito in bianco e oro con le ruote dipinte da una striscia bianca come tocco finale. Ci si accorse ben presto che il motore Ariel bicilindrico a due tempi offriva la possibilità di essere truccato, sia pure in misura modesta, e molti furono i piloti privati che lo portarono alle gare. Per quanto la Ariel di per sé si tenesse alla larga dalle corse su strada, mostrò tuttavia interesse per lo scrambling e per il trial, con una squadra di trial che comprendeva tra gli altri un giovane dell’Ulster destinato ad entrare nella leggenda di questa specialità : Sammy Miller. Se avesse voluto, sarebbe potuto diventare campione mondiale di corse su strada; invece se ne tenne al di fuori e dedicò il proprio tempo a ridurre quanto più possibile il peso di un modello della Ariel di 500 cc (il GOV 132) . Attualmente in mostra al National Motor Museum di Beaulleau, il GOV 132 scese a pesare 108 kg , con l’aiuto di parti non standard, come i perni delle ruote di titanio. La permanenza di Miller alla Ariel continuò a lungo, anche dopo che le quattro tempi furono ufficialmente dichiarate morte e sepolte, in quanto i suoi successi nel trial contribuivano a mantenere il nome sulla bocca di tutti, e questo era quanto importava. Tuttavia Miller elaborò una Ariel Arrow perché venisse usata nella Sei Giorni Internazionale di Trial (non era un successo di poco conto) e , più tardi, la pilotò fin quasi in cima al Ben Nevis prima che la neve lo costringesse a fermarsi. All’inizio degli anni Cinquanta, il gruppo BSA prese la decisione di chiudere la fabbrica di Selly Oaks e trasferire la produzione della Ariel in uno spazio disponibile vicino al suo imponente stabilimento a Small Heath. Uno degli ultimi progetti ideati d Val Page nello stabilimento di Selly Oaks era stato un nuovo ultraleggero, il Pixie 50, che utilizzava un telaio monotrave in acciaio stampato sulle linee generali di quello della Arrow. Con la catena di montaggio installata a Small Heath, la Arrow della Ariel tornò rapidamente nelle sale di esposizione dei venditori affiancata a questo punto da una Arrow 200. Tuttavia, la Arrow era una moto destinata essenzialmente al mercato interno con scarse possibilità di esportazione; soprattutto agli americani non piacevano le costruzioni in acciaio stampato. Il reparto sperimentazione della BSA si gingillò con un prototipo (incidentalmente, avevano in mente di chiamarlo Red Hunter) che alloggiasse un motore Arrow in un telaio tubolare a doppia culla ma, per qualche motivo, l’idea fu fatta cadere. Con la domanda della Ariel sempre più in declino, la produzione giunse al termine nel 1966. Sembrò che questo segnasse la fine del marchio Ariel; ma Small Heath era andata sviluppano un curioso triciclo da 50 cc, nel quale la sezione anteriore del telaio poteva essere inclinata in curva come se si fosse trattato di una due ruote, operato del progettista George Wallis; la BSA aveva usato strette ruote in acciaio pressato e un motore Anker costruito in Olanda; a questo triciclo fu dato il nome di Ariel Three, ma era tanto lontana dalla Ariel Four di sacra memoria che ben poche lacrime furono sparse quando, quasi inevitabilmente, la “mostruosità “ si rilevò un fallimento. A questo punto si può dire che la Ariel aveva veramente finito di vivere, nonostante un progetto che, se le cose fossero andate diversamente avrebbe potuto salvare sia il marchio sia la fabbrica di Selly Oaks. Questo avrebbe dovuto rappresentare il canto del cigno di Val Page, che volle rimanere a occuparsi del progetto anche dopo aver raggiunto l’età della pensione pur di vedere superare la fase dell’elaborazione teorica. Si trattava nuovamente di una quattro cilindri, ma di concezione ben diversa rispetto alla Square Four di Turner. Di 600 cc, aveva i cilindri in linea , con cambio a quattro velocità, avviamento elettrico e trasmissione finale ad albero. Il blocco dei cilindri era avvolto in un cofano di lamiera e aveva una ventola posteriore che risucchiava l’aria di raffreddamento. I quattro cilindri erano montati nel telaio di una Ariel Leader, completo di pannelli laterali, in modo tale che il cilindro era coricato su un fianco, con le candele rivolte a sinistra. Un pompa asportabile dava la possibilità di accedere immediatamente all’albero motore e a i cuscinetti qualora ciò non fosse reso necessario; se ne costruì un solo prototipo. In effetti, la moto era un prodotto collaterale di uno schema tracciato, principalmente da una parte di Ken Whistance, per un motore leggero a quattro cilindri destinato a un gruppo elettrogeno per l’Esercito. Se il progetto fosse andato in porto, le spese relative allo sviluppo e alle attrezzature sarebbero state addebitate alle unità destinate all’Esercito, lasciando i motori in eccedenza – che sarebbero stati destinati ad uso motociclistico, naturalmente – come compenso. Il colpo non riuscì per poco. Negli stabilimento della Ariel fu costruita una serie di prototipi di generatori portatili per permettere all'Esercito di valutarli. Riuscirono a ottenere l’approvazione ufficiale, e sembrava che non fosse rimasto altro da fare che firmare il contratto. Ma poi il vento cambiò direzione e il governo in carica annunciò una massiccia riduzione delle spese militari. Mettere in piedi la produzione di un motore da 600 cc, solo per una motocicletta, sarebbe stato troppo costoso. E così la quattro cilindri in linea morì, e con essa le ultime speranze di Selly Paks di sopravvivere e proseguire in modo indipendente.